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14 aprile 2022

Le problematiche del settore tessile, abbigliamento e moda

Il settore Tessile, Abbigliamento e Moda (TAM) gioca un ruolo molto importante nell’industria manifatturiera europea. Sono impiegate circa 1,7 milioni persone in 178.000 aziende, per un fatturato totale di 171 miliardi di euro (2016). Il settore è basato principalmente su piccole e medie imprese. Il 90% della forza lavoro, infatti, è costituito da aziende con meno di 50 dipendenti, le quali producono quasi il 60% del valore aggiunto (Euratex). In Italia il settore TAM è uno dei più rilevanti e strategici del “Made in Italy”, per un fatturato pari al 30,9% dell’intero comparto TAM europeo, ed il 57% deriva da export (in particolar modo da prodotti ad alta gamma).

Ad oggi, l’industria dei tessuti e dell’abbigliamento è caratterizzato da un andamento ancora fortemente lineare. Secondo il Circular Economy Action Plan pubblicato nel 2020 dalla Commissione Europea, il tessile è il quarto settore per uso di materie prime e acqua (dopo alimentare, costruzioni e trasporti) e il quinto per emissioni di gas ad effetto serra. Le risorse da cui parte sono principalmente di natura non rinnovabili, ad esempio il petrolio per produrre fibre sintetiche, l’uso di fertilizzanti per le coltivazioni di cotone, o i prodotti chimici per produrre, tingere e rifinire fibre e tessuti. La produzione tessile (compresa la coltivazione del cotone) utilizza circa 93 miliardi di metri cubi di acqua all'anno, causando forti problemi nelle regioni in cui questa risorsa è carente. Nel 2018 l'industria della moda è stata responsabile di circa 2,1 miliardi di tonnellate di gas serra (GHG), equiparabili al 4% delle emissioni globali. Di queste, circa il 70% è associabile ad attività a monte, come la produzione e la lavorazione dei materiali.

Il sistema moda è stato anche identificato come il principale responsabile del problema delle microplastiche rilasciate negli oceani. Indumenti costituiti da fibre sintetiche, come nylon, poliestere, acrilico, rilasciano micro-particelle polimeriche durante i lavaggi, andando ad impattare negativamente l’ecosistema marino e tramite la catena alimentare, finiscono per ledere anche la salute umana. 

Infine, una delle principali criticità di questo settore è sicuramente quello relativo alla produzione di rifiuti. Secondo i dati della Ellen MacArthur Foundation del 2017, solo il 13% dei capi che raggiungono il fine vita viene riciclato, e di questo 13%, solo l’1% viene riutilizzato per produrre altri capi d’abbigliamento. La percentuale restante viene dirottata in processi produttivi di altre filiere, come ad esempio la produzione di materiale isolante nel settore delle costruzioni, o come imbottitura per materassi, subendo di fatto una perdita di valore. Gli indumenti e i tessuti che non vengono riciclati per la maggior parte vengono smaltiti in discarica e finiscono per essere inceneriti.

In termini economici è difficile quantificare il valore delle esternalità negative appena descritte. Si stima che, a livello globale, i clienti perdono 460 miliardi di dollari di valore ogni anno, eliminando vestiti che potrebbero continuare a indossare. Secondo il World Bank, negli ultimi 20 anni il trend di vendita dei capi d’abbigliamento è raddoppiato mentre il trend di utilizzo si è ridotto del 40%. Senza un cambio di rotta quindi queste stime sono destinate ad aumentare. 

Il settore del tessile, abbigliamento e moda necessita di un forte cambio di paradigma, che non consista in un semplice sforzo nella riduzione degli impatti negativi appena descritti, bensì nella risoluzione del problema a monte.  Questo può avvenire solo tramite l’adozione da parte dell’intera filiera di un modello sistemico, che svincoli la crescita economica dal consumo delle risorse naturali e che non impatti negativamente l’ecosistema in cui è inserita.