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31 gennaio 2023

I limiti del modello lineare nel settore dei trasporti

Dipendenza dall’utilizzo di materie prime sempre più difficilmente reperibili, scarsa efficienza nell’uso e nello smaltimento dei veicoli giunti a fine vita, emissioni di gas climalteranti e conseguenze per le risorse finanziarie delle famiglie: pur contribuendo in maniera rilevante al mercato del lavoro e alla crescita dell’economia, l’industria dei trasporti è uno dei settori più impattanti del nostro continente a causa di un modello lineare di sviluppo che mai come negli ultimi anni ha mostrato tutti i suoi limiti.

Secondo i dati della Ellen MacArthur Foundation il settore impiega il 13% di tutte le materie prime vergini utilizzate ogni anno a livello globale. Molti degli elementi necessari alla produzione dei veicoli fanno parte della lista delle cosiddette “materie prime critiche” (CRM), ossia materiali di importanza strategica per l’Europa la cui scarsità e concentrazione in Paesi ad alto rischio geopolitico determina severi rischi di approvvigionamento. Un tema, quest’ultimo, particolarmente rilevante nel caso dei veicoli elettrici, perché molti elementi della lista CRM – come litio e cobalto - sono fondamentali per la produzione di batterie.

I limiti del modello lineare di produzione e sviluppo del settore emergono in tutta la loro gravità quando si avvicina il momento della fine vita dei veicoli: secondo Accenture il 13% dei materiali riutilizzabili di un’auto commercializzata in Europa finiscono in discarica, mentre secondo Ellen MacArthur Foundation le automobili europee trascorrono il 92% del loro ciclo di vita parcheggiate in strada. Quando si muovono, infine, le auto trasportano solo 1,5 persone in media, ben al di sotto delle proprie possibilità di utilizzo.

Non va meglio per quanto riguarda l’emissione di gas a effetto serra: secondo i dati riportati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente dal 1990 al 2018 il settore dei trasporti ha visto un aumento delle emissioni di gas serra del 33,5%, diventando il diretto responsabile di circa un quarto delle emissioni totali di CO2 dell'Unione Europea a causa, soprattutto, del trasporto su strada che da solo produce il 71,7% delle emissioni totali. 

Infine, non va sottovalutato il risvolto economico generato dalle esternalità negative appena descritte. Sempre secondo la Ellen MacArthur Foundation il 20% del reddito familiare lordo medio in Europa è usato per spese correlate al possesso di un’auto, e il trasporto urbano è responsabile di una percentuale variabile fra il 20 e il 50% del consumo energetico totale delle città (senza contare l’attività industriale). Anche per quanto riguarda la salute si è giunti ad un punto critico, se si considera che circa il 90% dei cittadini europei è esposto a livelli critici di inquinamento atmosferico

In questo contesto, non va dimenticato che il settore dei trasporti contribuisce per circa il 5% al PIL dell'Unione Europea, dando lavoro a più di 10 milioni di persone, mentre l’industria dell’automotive, strettamente connessa al settore, ha un fatturato che da solo genera il 7% del PIL europeo occupando 13,8 milioni di addetti, ovvero il 6,1% dell'occupazione totale dell'UE secondo la Commissione Europea. Dati che confermano l’importanza che la mobilità rappresenta per le imprese europee e le catene di approvvigionamento globali. 

Per contenere gli impatti negativi generati da questo settore, senza tuttavia ridimensionarne l’importanza per l’economia e l’occupazione, è dunque necessario promuovere un nuovo sistema produttivo in grado massimizzazione l’uso delle risorse, ottimizzare lo sfruttamento energetico e abbattere le emissioni nocive. Questo è possibile solo tramite un passaggio da un paradigma lineare, da cui il settore dei trasporti è fortemente caratterizzato, ad uno circolare, che tramite nuove tecnologie e modelli di business sia in grado di svincolare la crescita economia dallo sfruttamento delle risorse e dall’inquinamento atmosferico.